"Non ce la faccio" è la frase che pronunciamo a volte di fronte ad ostacoli che riteniamo inaggirabili, o a strade che ci sembrano troppo difficili a percorrersi.
Questa frase da un lato uccide la speranza, dall'altro, in un senso paradossale, la custodisce.
Infatti, dicendo non ce la faccio, confessiamo subito la nostra probabile sconfitta per non doverla subire davvero. Ci facciamo carico di un po' di delusione e di inadeguatezza subito, per evitare di provarne di più in seguito ad un eventuale insuccesso reale, che dopo esserci impegnati, averci investito e aver creduto di potercela fare, risulterebbe più insopportabile.
Assumiamo la nostra incapacità a parole, ma di fatto la respingiamo, perché non ci mettiamo nella condizione di incontrarla davvero, di trovarci faccia a faccia con essa.
Tale incontro mancato, consegna la nostra presunta incapacità al dubbio. Un dubbio rassicurante perchè in un certo senso, privando tale incapacità della sua certezza, la salva.
In sostanza, ci dichiariamo incapaci ma respingiamo la prova che lo attesterebbe, in modo tale che dell'incapacità di cui parliamo non ci sia traccia alcuna, eccetto che nelle nostre parole.
Il percorso di supporto psicologico è finalizzato a comprendere a fondo le motivazioni per cui non ci si reputa all'altezza di sostenere una determinata prova.
In un secondo momento, tale supporto si pone come obiettivo quello di sostenere il soggetto e consentirgli di andare un po' più in là della propria sicurezza.
Il centro del lavoro non è posto tanto sulla prova da superare, sull'entità o sulla difficoltà, quanto sulla percezione che il soggetto ha delle proprie capacità. Sul senso di tale percezione e sulla sua utilità. Infatti questa percezione non è solo dolorosa o scomoda, non è solo motivo di frustrazione o di dispiacere. E' anche un bisogno tanto segreto quanto disperato di prepararsi al peggio, di non aspettarsi mai nulla da se stessi per non essere colti impreparati, e forse anche un po' brutalmente, dalla propria incapacità.